Claudio Spadola e suoi maestri
IL DIRETTORE Claudio Spadola
A seguire faccio un racconto di me più confidenziale che professionale ma, dato che ho dedicato la mia vita alla ricerca teatrale, sarà un racconto soprattutto attraverso le esperienze con uomini e percorsi di teatro. Queste esperienze mi hanno cambiato come persona e non solo come professionista. Chi vuole leggere il mio curriculum professionale può leggere Collaborazioni Internazionali & Curriculum.
Durante l’adolescenza, come spesso accade, decisi di voler essere diverso da mio padre, ingegnere edile ed emerito professore delle superiori. Nell’ultimo anno di liceo, che i miei genitori vollero fosse classico, un’appassionata professoressa d’italiano, appena trasferita alla mia scuola, e i suoi incoraggiamenti verso l’analisi letteraria e il pensiero critico, mi fecero innamorare di una materia, l’italiano, fino allora a mala pena tollerata dato che preferivo le materie scientifiche o ancor più il disegno.
Gigi Proietti
Dopo il diploma mi iscrissi a Lettere e partecipai un po’ per caso e senza alcuna velleità alle selezioni di ammissione alla scuola di Luigi Proietti.
Non mi informai nemmeno del loro esito, un giorno mia madre mi disse: “Hanno telefonato per sapere che fine hai fatto visto che sono cominciate le lezioni”.
Allora, in Italia, non credo esistessero scuole di recitazione private, neanche a Roma, ma solo 5 accademie pubbliche completamente gratuite e io dovevo scegliere se intraprendere o meno il percorso formativo in una di quelle e quindi la professione d’attore.
Mi fermai a parlare con l’essenza di me e dissi: “Voglio fare teatro perché voglio conoscere me stesso. Mi basterebbe riuscire a viverci, e magari avere anche una famiglia”.
Lasciai il corso professionale della Regione Lazio per programmisti radiotelevisivi che mi avrebbe instradato verso un lavoro molto meno precario alla Rai o in qualche neonata emittente privata, continuai blandamente il corso di laurea in Lettere e mi avventurai nel mondo del teatro.
Sprovveduto e ingenuo come ero rispetto ai miei compagni di accademia e poi ai miei colleghi attori, ci misi molti anni prima di riuscire a trovare la faccia tosta necessaria per mettermi sul mercato professionale. Faccio presente che allora non c’era tutta questa possibilità di lavorare nelle serie tv, e internet e smartphone manco esistevano. Anche i film e le agenzie cinematografiche erano assai meno di oggi. Per chi non voleva inquadrarsi in una vita normale e aveva scelto il mestiere d'attore c’era molto teatro, anzi, per essere più precisi, non c'era più teatro di oggi ma era ancora dignitosamente retribuito e considerato un lavoro a cui potersi dedicare a tempo pieno.
La cultura e il teatro ricevevano più sovvenzioni di oggi e potevano dare da vivere, sia il teatro commerciale o comunque che contava anche sugli abbonamenti sia il teatro più sperimetale.
Musiak, Grotowski e l'antropologia teatrale
Inoltre era il periodo in cui in Italia si stava un po’ affievolendo il recente boom del teatro politico degli anni ’70 e timidamente un attore poteva cominciare ad esplorare strade artistiche con un’altra priorità rispetto a quelle di allora del fare politica o del teatro commerciale. Strade che attraverso lo studio delle tradizioni teatrali autentiche potevano essere ripercorse innanzi tutto per scoprire le sconosciute o dimenticate potenzialità dell'essere umano.
Il risveglio interiore che queste strade inducevano non necessariamente doveva essere usato in nome della politica di un gruppo sociale in un determinato periodo storico o spazio geografico. Soprattutto se a risvegliarsi era stata solo la coscienza di chi le stava scoprendo e non si era avuto il tempo di praticarle per ricomporre la scissione tra corpo, mente e psiche dell'uomo contemporaneo.
Purtroppo a quei tempi era difficile non essere fraintesi quando si considerava la ricerca e l'esempio individuale già un atto politico e rivoluzionario. Ciò nonostante maestri come Grotowski e alcuni esponenti della neonata antropologia teatrale riuscirono a mantener fede al loro scopo primario considerando il cambiamento politico solo un valore aggiunto.
Io feci un'esperienza importante delle tecniche originarie dell'attore selezionate da Grotowski lavorando con un suo assistente polacco, Marek Musiak al I anno di università, ancor prima di cominciare la scuola di Proietti. Fu un imprinting che mi condizionò più di quanto credetti allora.
Comunque appena diplomato alla scuola di Proietti fu nell’ordine delle cose affrontare la professione non disprezzando nessuna possibilità. Anche se, in fondo e per fortuna, sentivo sempre la ricerca e la crescita, prima personale e poi professionale, come i veri motori del mio voler fare l’attore.
Finché non trovai i maestri che mi fecero comprendere che non si può fare l’attore ma esserlo.
Lo fui. Smisi di essere un falso attore e divenni credibile, per primo a me stesso. Ma ci vollero un po’ di maestri per quella metamorfosi e per le altre che seguirono.
Antonio Fava
Ringrazio Antonio Fava che mi ha fatto innamorare di quel semplice e geniale strumento per canalizzare le energie fisico emotive e le potenzialità drammaturgiche compositive che è la commedia dell’arte. Attraverso i suoi perfetti ingranaggi e attraverso la maschera, in quegli anni conobbi un me stesso che da tanto tempo premeva per uscire e non trovava quell’energia, quella follia, quell’organica primitività e quell’assurda poesia che la commedia all'improvviso mi ha fatto scoprire. Lo ringrazio anche per la sua generosità, stima, fiducia e amicizia che mi consentirono di sostituirlo, essendo lui appena divenuto padre, e di rappresentare l’Italia all’Encuentro Teatral Tres Continentes alle Canarie con un mio appena partorito spettacolo di commedia dell’arte. Fu un sogno e una soddisfazione per un ragazzo di 26 anni.
Dominique De Fazio
Ringrazio Dominique De Fazio per avermi riportato, negli anni successivi, per la prima volta in maniera integrale e irreversibile, di fronte al mio auspicio o giuramento iniziale. Nel 1990 per essere ammessi a studiare con lui, anche ad un seminario di pochi giorni, si doveva rispondere ad un questionario che chiedeva anche il perché si voleva intraprendere quel percorso. Un caro amico e meraviglioso collega morto assai giovane, Manrico Gammarota, che allora faceva parte dei suoi numerosi assistenti e allievi, stracciò la mia risposta perché voglio perfezionare la mia professione d’attore etc. etc. e mi disse su per giù: “Claudio, dì la verità. Tu vuoi conoscere chi sei. E allora scrivilo”. Con Dominique per 5 anni studiai, piansi e rifondai me stesso, e quindi il mio essere attore.
Prime regie
Dal momento che fui attore volli essere anche regista e autore.
Ma quello non fu ancora il periodo in cui amai e scelsi pervicacemente di immergermi e riemergere dai testi dei grandi autori, di teatro e non. I testi di quegli autori che scrivono col sangue. Gli scrittori che ricavano dal loro sofferto vissuto il senso delle loro opere e non dormono la notte finché non le creano compiutamente. Non fu ancora il periodo in cui amai e scelsi di dirigere e scrivere uno spettacolo per me e per la compagnia e per la bellezza del miracoloso che accade ogni volta che un gruppo di esseri umani attiva tutte le proprie energie per creare una forma precisa che le veicoli in una dimensione che è qui e ora ma anche sempre e altrove. Questa fu una necessità soprattutto degli ultimi 20 anni, dopo il mio viaggio in Russia.
Allora invece dovevo sperimentarmi anche come autore e regista di spettacoli più facili da vendere. Dovevo fare il regista autore. Ma la mia essenza, per fortuna, mi rispingeva sempre e comunque al mio auspicio-giuramento iniziale, e continuai a cercare maestri. In fondo lo stesso Proietti onestamente me lo disse agli inizi. “Devi trovare un maestro” mi rispose dopo l’ennesima replica del suo Cirano quando, in una delle tante notti alticce in giro per l’Italia, presi coraggio e gli chiesi a brutto muso: “Gigi, ma io lo posso fare sto mestiere?”.
Nikolai Karpov
Ringrazio Nikolai Karpov che a 33 anni, quando ero già diventato un attore esperto e credibile, mi ha folgorato con la disciplina della biomeccanica teatrale in occasione di due seminari estivi a S. Miniato. Mollai (per modo di dire, tanto tutto torna) i tanti anni di pratica del metodo americano con De Fazio e le tournée dei vari teatri stabili e meno stabili, chiesi la tesi di laurea sulla biomeccanica di Mejerchol’d, ottenni una borsa di studio dalla Federazione Russa grazie agli scambi col nostro Ministero degli Esteri, studiai un po’ la lingua e lo seguii fino in Russia dove alla mia non giovane età ricominciai dall’Accademia d’Arte Drammatica di Mosca GITIS in cui lo stesso Mejerchol’d aveva fondato la biomeccanica teatrale.
Fomenko, Ginovach, Zvereva, Bogdanov e il GITIS di Mosca
Ai miei maestri russi, Fomenko, Ginovach, Zvereva, Bogdanov e a tutti gli altri, non gli importava nulla della mia età o del fatto che già ero un attore, già lavoravo e già insegnavo recitazione dalla commedia dell’arte agli esercizi del metodo americano. Dovevo dimostrarlo sul palco, a fianco degli allievi del primo e del secondo anno, se ero bravo. Dopo qualche mese finalmente si aprirono con tutta la generosità e la fratellanza proprie dell’Anima russa. Karpov ha continuato ad aprirsi anche dopo i miei anni di accademia russa quando ho cominciato a collaborare con lui come suo assistente in Italia.
Al GITIS, che è la più importante università russa per il teatro, la danza, il circo e tutte le arti performative, acquisii la capacità di tradurre ogni cosa in linguaggio teatrale che spiegherò più avanti, la capacità di produrre dinamiche messe in scena in soli 15 minuti attraverso il metodo degli etjud che inventò lo stesso Mejerchol’d e di cui fù ammaliato testimone il futurista Marinetti, imparai la libertà poetica con cui un maestro geniale come Fomenko riusciva a rimaner fedele al senso profondo dei testi sacri della letteratura russa e mondiale curando le nostre coraggiose ed elaborate regie e le nostre raffinate azioni sceniche e approfondii con Natalia Zvereva le enormi possibilità del metodo Michail Čechov.
Mi resi conto anche del valore che veniva attribuito a Nikolai Karpov, a cui era stata affidata la direzione della cattedra di movimento scenico al cui interno si svolgevano le lezioni di biomeccanica teatrale condotte da Bogdanov.
Il senso di questa comprensione della materia biomeccanica all'interno della cattedra di Karpov può essere dedotto dal fatto che lo stesso Mejerchol'd, oltre alla biomeccanica, aveva scelto di insegnare sin dal 1921 movimento scenico sia agli attori che ai registi. Questa disciplina comprende il training e gli esercizi come quelli della biomeccanica ma non si ferma ai training, agli etjud o ai principi estetici che essi comportano. Mejerchol’d e, come approfondirò più avanti, Karpov, cercavano di applicare più concretamente quei principi alla recitazione, all'analisi e alla messa in scena.
Ai dirigenti, i maestri e gli stessi studenti dell'Accademia più importante delle arti performative della Russia non importava tanto che Bogdanov fosse l'erede diretto degli insegnamenti di Kustov, ultimo maestro di biomeccanica ai tempi del GITIS di Mejerchol'd, nè importava tanto l'ortodossia delle partiture di azioni fisiche codificate negli etjud di biomeccanica necessaria solo ad un alto livello di specializzazione, quanto piuttosto l'applicazione pratica della biomeccanica a tutto il lavoro dell'attore.
Franco Ruffini
La laurea con la tesi sulla mia esperienza al GITIS mi diede l’occasione di conoscere colui che ora considero un maestro spirituale e non solo il professore di storia e antropologia teatrale più competente e carismatico d’Italia. Il caro amico Franco Ruffini a cui sono profondamente grato. È raro e forse inopportuno diventare amici dei propri maestri. Ma con Franco e Nikolai Karpov l’opportunità di collaborare professionalmente è diventata meno importante dell’occasione di accoglierci spiritualmente e aiutarci umanamente. Il bene che si sente per l’altro ti porta a giocare come bambini sulle colline o a parlarsi crudamente, ogni volta con occhi che guardano gli occhi fuori dal tempo e aldilà delle opportunità.
Eimuntas Nekrosius
Ringrazio Eimuntas Nekrosius per avermi fatto innamorare della regia, nei 2 anni di studio con lui alla Biennale di Venezia, e credere che davvero possa esistere un teatro che, se sincero e espresso attraverso una raffinata lingua energica, possa emozionare anche chi non capisca la lingua degli attori e debba dividere la sua attenzione per anche più di 4 ore tra le loro azioni e i sopra titoli digitali che traducono le loro parole.
Nekrosius mi ha conquistato facilmente non solo per la sua genialità e profondità umana, ma anche perché la semplicità primordiale dei suoi spettacoli, delle sue soluzioni registiche e della recitazione dei suoi meravigliosi attori dell’est che ho avuto la fortuna di vedere per molto tempo durante le prove di Otello, erano la naturale prosecuzione della cosa più importante che ho imparato all’accademia di Mosca. Ogni cosa esistente può essere espressa nel linguaggio teatrale senza bisogno di effetti speciali o macchinari, basta l’autenticità e la maestria dell’attore su un palco vuoto. Ancor meglio se è in compagnia di altri attori come lui e di un regista coerente e ispirato.
La coerenza, infatti, col principio di avere fiducia nelle infinite potenzialità dell’agire umano tanto più su un palco e di fronte a un pubblico, appreso a Mosca e con Nekrosius, è ciò che ha indotto Stanislavskij ad abbandonare un metodo recitativo che partisse dal bosco delle emozioni per avvicinarsi alla biomeccanica e al teatro di Mejerchol’d. A onor del vero il metodo che Stanislavskij adotto negli ultimi anni, ovvero il metodo azioni fisiche, non rinnega il metodo della memoria emotiva che invece aveva proposto nei suoi primi anni di pedagogo e regista ma, pur invertendo il punto di partenza del lavoro dell'attore, lo comprende perché l'attore deve comunque trovare delle giustificazioni interiori nel suo agire. Il metodo delle azioni fisiche, per amore di sintesi, si può spiegare come il cercare di tradurre in azione la metafora che sintetizza la dinamica di una scena. Di questa ricerca Nekrosius è stato un esemplare e fedele seguace attraverso soluzioni registiche come quelle adottate per il monologo "essere o non essere" in cui ogni goccia di ghiaccio che cadeva dal lampadario sulla camiciola di carta del suo Amleto lo riportava, nonostante i dubbi, al giuramento di vendetta fatto allo spirito vagante del padre assassinato.
Il lavoro di traduzione in azione di una metafora che definisce una scena prevede un continuo passaggio dal lavoro di analisi del testo a quello di sperimentazione in prova e viceversa.
Tutto il lavoro di Michail Čechov anche sul suo gesto psicologico e di Marja Knebel fino al contemporaneo Vasil’ev sull’analisi del testo attraverso l’azione fisica sono una testimonianza di questo procedimento oltre che un’ulteriore conferma di quel principio sulle potenzialità dell’agire umano che è il fondamento del teatro totale del performer, senza distinzioni disciplinari, e della ricerca sul Performer di Grotowski.
Mejerchol’d, la mia sintesi della sua biomeccanica e mie regie
E comprendendo l'esperienza con Nekrosius e il lavoro di assistenza a Karpov arriviamo circa agli ultimi miei 20 anni che sintetizzerò in breve.
Ho già spiegato prima il bisogno, sempre più essenziale, di trovare il sentimento della dimensione fuori dal tempo e dallo spazio che proprio l'arte più effimera e più legata alla comune presenza qui e ora ci consente miracolosamente di provare. Questa coincidenza degli opposti è propria della natura grottesca dell'arte teatrale che 100 anni fa Mejerchol’d ha genialmente condensato nei suoi spettacoli e codificato in una disciplina pratica e indispensabile per ogni artista dal vivo e oggi sempre più anche per ogni essere umano.
La sua biomeccanica teatrale ha codificato anche la mia vita nel senso che mi ha dato un modo per leggerla e orientarmi nel viverla. E' diventata la mia lingua. Mi esprimo con i suoi termini e riscontro il suo codice in ogni avvenimento. Perchè la biomeccanica è il codice della vita. Espresso da un uomo di teatro e con una struttura mentale più vicina alla mia di quanto possa essere quella di un maestro indiano o cinese di arti o discipline.
Per cui negli ultimi 20 anni ho messo in pratica ciò che avevo praticato e fatto mio. Ho scritto saggi e insegnato a oltre un migliaio di allievi in Italia e all'estero ma soprattutto in tante accademie a Roma e alla Palestra dell'Attore che ho fondato nel 2004.
Dopo un anno è nato mio figlio Anton e nel 2007 mia figlia Ginevra.
Ma dal 2000 sono nati anche tanti miei spettacoli in molti dei quali ho anche recitato come attore: Cuore di Cane, Commedia dell’arte delle puttane, Coltelli nelle galline; con contaminazioni di teatro danza e circo come per il Naso, The Brig, il Soffione, Pazze Gravi Danze e, a conferma del mio amore per Anton Čechov e sempre contaminati dal teatro danza e dal circo, gli spettacoli 33 Svenimenti, Corsia n.6, Gabbiano, Giardino dei ciliegi. Creature effimere come farfalle ma per sempre nel cuore di chi ha dato loro corpo e anima.
Bergamo e Vasil’ev
Ho continuato a cercare maestri e attraverso la collaborazione con Alessio Bergamo assistente di Anatolij Vasil’ev ho scoperto l'approfondito lavoro di analisi della pièce e del ruolo mediante l’azione fisica che fa il maestro russo. Ho lavorato come attore con Alessio Bergamo per vari anni e su diversi testi e ho diretto insieme a lui per 3 anni fino al 2015 il laboratorio e le messe in scena dell'ultimo anno dell'European Union Academy Of Theatre And Cinema.
Come spiego nella descrizione del laboratorio di Biomeccanica e Improvvisazione e come ho spiegato prima a proposito del metodo azioni fisiche, trovo una radice comune tra il lavoro di Vasil’ev, che deriva da quello della Knebel e quindi dello Stanislavskij degli ultimi anni e la biomeccanica di Mejerchol'd, soprattutto per l'applicazione dei suoi principi alla recitazione creativa e all'improvvisazione.
Come notavo prima, questo lavoro di applicazione della biomeccanica è stato sviluppato poco da Bogdanov, almeno tutte le volte che ho studiato e collaborato con lui sia in Russia che in Italia, mentre reputo che Karpov concentrasse questo lavoro soprattutto nel gioco con la linea d'azione del personaggio e non tanto nel gioco con la linea (trasversale) del tema principale del testo. Quest'ultima linea è la linea di sviluppo del gioco dell'attore sul tema che sta a cuore all'autore, come scrivevo prima nel paragrafo Le prime regie, e questa linea è detta trasversale perché, pur rispettando la necessità di essere credibili dettata dall'altra linea, ha una prospettiva diametralmente opposta a quella biografica del personaggio perché tiene conto della sua fine (di cui lui è ignaro) e quindi della sua funzione per l'autore.
Ma soprattutto in questi anni ho continuato a conoscere me stesso, perchè essere, realmente, è come essere sul palco.
L'essere che è sul palco non può mai dare nulla per scontato, neanche quello che sa che deve fare.
E per far sì di arrivare con gioia e dedizione integrale a voler ubbidire al proprio compito deve prima di tutto prenderne le distanze cominciando col non pensarci. E, nel darsi la possibilità di non eseguirlo, deve percepire, sentire e concentrarsi su ogni istante e ogni materiale presente. Solo così riuscirà ad essere non solo lì e in quel momento ma in un eterno presente condiviso con lo spettatore. E, soprattutto, riuscirà ad adempiere creativamente al proprio compito (in sempre minor tempo), ad essere ad immagine e somiglianza del proprio ruolo e, fuori dal palco, del proprio destino.
Ma tra il dire e il fare, come dice sempre il mio caro amico Franco, per fortuna c'è il mare.
Claudio Spadola